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La formazione: le esperienze lavorative di A-elle



17/11/2014


Le nostre esperienze "in presenza" 
Innanzitutto ringraziamo il nostro partner nell’avventura: la 3M SpA è stata l’equivalente del mecenate rinascimentale. Ha voluto sperimentare e ha finanziato una serie di esperienze rischiando assieme a noi. Il ringraziamento va anche al gruppo di Docenti che si sono impegnati ad adattare il proprio stile al modello, con lo scopo di costruire un percorso dal titolo “Migliorare il team per migliorare l’assistenza: il caso dei PICC team (o delle ulcere vascolari)”.
Siamo partiti dal fatto che la teoria la conoscono tutti, come si inserisce un catetere centrale è spiegato dovunque, anche su internet e non mancano colleghi esperti che mostrino presidi e tecniche. Ma quando poi deve essere organizzata la macchina (il PICC team) e quando occorre coordinare i servizi, far funzionare il team, capire le difficoltà, scegliere i protocolli, analizzare i gold standard, etc., occorre attingere ad altre risorse che non sono normalmente nella cultura dei sistemi sanitari, lo sono però nell’automotive.
Team building, gestione del consenso, assertività e le altre “soft skills” sono nel vocabolario dell’industria da decenni, ma per un buon motivo che in sanità non è così chiaro: il profitto. Una azienda che funziona bene rende di più. Ormai sono molti i grandi gruppi che non credono più nell’orario di lavoro, che badano a creare aree ricreative all’interno dell’azienda perché il “personale” possa divertirsi e quindi essere lucido quando opera, concentrato e motivato a raggiungere il miglior risultato possibile.
In sanità questo modello non è entrato, né forse entrerà mai considerate le risorse che assorbirebbe, ma piuttosto che fare un bando per la sicurezza sul lavoro da 100.000 euro, sciupati come sappiamo dai case history, avrebbe più senso formare bene 5 team all’anno.
Ritornando al nostro caso, un picc team che era su carta da anni è stato formato e reso operativo in quindici giorni da 3 infermieri che hanno partecipato ai nostri corsi in due round successivi (prima il caposala e successivamente due infermieri, le anime del costituendo picc team).
Nel caso delle ulcere vascolari, una caposala di Tor vergata ha appeso nel suo ufficio il proprio approccio comportamentale nella gestione del consenso, per ricordarsi di smussare certe sue spigolosità che irrigidivano il dialogo Questi sono indicatori di esito misurabili, gli elementi che i partecipanti hanno di certo portato con sé. Sono stati momenti di formazione vera dove i gruppi hanno condiviso le pratiche, non si sono trincerati dietro le proprie difficoltà, ma hanno cercato una soluzione ai problemi dei singoli.
Bei momenti, il cui costo beneficio è stato comunque misurabile. Non tutti avranno preso le stesse cose o affrontato il percorso con la medesima partecipazione, ma nessuno è andato via prima (tranne un caso su circa 200 persone. In questo caso c’era il giro di Italia che passava lì vicino e il partecipante ha preferito andare a vederlo. Noi lo abbiamo lasciato fare: nessuno può costringere un adulto ad imparare) e gli score di gradimento sono stati alti. Ma al di là delle indicazioni dei freddi numeri, i grazie dei partecipanti sono stati le vere dimostrazioni di aver costruito “formazione”.
Cosa ne è stato del programma? Non c’è happy ending, perché senza mecenati le ASL non si muovono, anche di fronte alle evidenze, serve l’industria che paghi e per di più stia bene in disparte, altrimenti c’è conflitto di interesse…! Chi vuole sapere da dove passi il conflitto di interesse può iniziare leggendo un articolo su “Le Scienze” n.534 Feb.2013 pg. 30 – 39.
Quindi cerchiamo sempre di riproporre questo nostro percorso anche nei corsi residenziali più tradizionali, inserendo sempre dei casi di discussione, delle provocazioni anche forzate, pur di scuotere la platea e costringerla ad interagire.
I Docenti non sempre ci seguono, la platea a volte sbuffa, ma non desisteremo nel cercare di coinvolgere più possibile tutti.

Le nostre esperienze a distanza
“La formazione a distanza è il libro”. La citazione viene da un membro della commissione ECM durante un incontro a Cernobbio. Davanti a una simile affermazione non si potrebbe neanche dargli torto. Compri un libro, torni a casa, lo studi e dai l’esame. Ma così facendo noi non facciamo Formazione A Distanza!
Noi facciamo E.learning, anzi noi cerchiamo di fare, ma è più complicato, E.learning 2.0.
L’E.learning è un sistema di formazione che ha gli stessi obiettivi dell’aula, ovviamente, ma che utilizza un mezzo completamente diverso di trasmissione dei contenuti e quindi avrà delle sue “regole” per essere efficacie. Da queste considerazioni nasce la nostra ritrosia verso le audio-video lezioni. Come potrebbe infatti funzionare bene una formazione che avviene scimmiottando un aula, ma spogliandola di tutta la comunicazione non verbale che contraddistingue, nel bene e nel male, l’alchimia che si crea in presenza? 
Vi sarà capitato di sbadigliare ad un corso, magari contagiando un certo numero di colleghi; il docente attento a quel punto potrebbe aver inserito una domanda o una battuta per riportare ad un livello accettabile l’attenzione. E’ uno dei cavalli di battaglia della formazione in presenza.
Cavallo che non può utilizzarsi nella cosiddetta formazione asincrona erogata on line attraverso una ripresa che inquadra un docente, a volte aiutato della proiezione contemporanea delle slide o di quanto altro comprende il corso.
E’ la rivisitazione in chiave tecnologica del progetto “Nettuno” che è andato in onda per anni più o meno alle 5 di mattina come antidoto all’insonnia. Quanti abbiano tratto beneficio non è dato saperlo.
Addirittura un gradino sotto a questa modalità abbiamo gli “slide shows” dove una quantità di informazioni sono erogate con un surrogato del libro, appena più graficamente gradevole ma spesso più carente di contenuti. Nessuno di questi metodi è “androgogico”. Per lo più sono soporiferi come il progetto Nettuno.
Arriviamo quindi all’E.learning come lo intendiamo noi. 
Per fare un qualsiasi corso noi partiamo dalle domande. Ci interroghiamo infatti sugli obiettivi che dobbiamo raggiungere, cosa comune a molti produttori, ma poi continuiamo a farne durante tutto lo svolgimento del corso. Utilizziamo cioè il metodo deduttivo in maniera traversale ai contenuti. 
Per esempio: la collana “il farmacista 2.0” parte dal presupposto che la professione del farmacista debba ripensarsi introducendo degli elementi di colloquio con il Cliente/paziente, valorizzando la propria professionalità nei confronti del Curante, dismettendo l’abito del commerciante. Questo fa parte del “trait of -” dei diversi corsi. Su questa base innestiamo il contenuto specifico che di volta in volta sviluppiamo, CENTRANDOLO sul dialogo tra paziente e farmacista. Da questo dialogo nascono le domande che il cliente fa giornalmente al Farmacista, domande che sono lo spunto per far comprendere al fruitore se sia adeguato o no nella fattispecie simulata. Se è adeguato allora non c’è necessità che studi altro, altrimenti in allegato al corso troverà un pdf. Ecco la differenza: due piani che sono uno comunicativo e uno tecnico che vengono attivati in maniera strumentale durante il corso per il raggiungimento dell’obiettivo che è duplice.
Rivedete il meccanismo che avevo descritto qualche pagina fa? Prima - eventualmente - si svuota il vaso, dalle proprie convinzioni - credo - nozioni (errate) attraverso un meccanismo di autovalutazione veloce, poi gli si offre la possibilità di riempirsi con le nuove informazioni: il pdf allegato. Nella prima fase si prepara l’attenzione, il coinvolgimento, la motivazione; nella seconda fase si attiva il meccanismo induttivo, quello più noioso e difficile, dove vogliamo che il discente sia attento.
Lo schema si può ripetere per ogni corso o quasi, il limite è sulla reale novità delle informazioni che intendiamo trasferire. Se si parla di una novità assoluta, non sarà infatti possibile utilizzare le domande come “set up” del fruitore, andrà utilizzato un approccio più classico con una verifica “ex post”.
I benefici di un tale approccio sono evidenti, praticamente un sistema “win-win”.  Il corso diventa molto leggero per chi conosce la materia, il docente può ingegnerizzare gli argomenti in maniera che i punti nodali delle informazioni siano puntati in maniera strumentale, così che almeno quei “bit” essenziali restino bene impressi; i contenuti sono uguali per tutti e costanti, non sono influenzati dall’umore giornaliero del Docente e in allegato puoi inserire l’equivalente del “libro”. 
Per fare un paragone con il corso “Root Cause Analysis” citato: quanto prodotto per quel corso noi lo mettiamo in allegato, il fruitore “agisce” su altro.
Avrete notato che non ho citato i “CAPISALDI” della FAD: la puoi fruire senza orario, ha minori costi indiretti, un prezzo più competitivo, etc. Ma se un corso ti fa dormire, che senso hanno quelle pur minime risorse? 
Ma perché pochi utilizzano questo metodo? Perché è faticoso, costoso in termini di risorse da impiegare per costruire il corso. Occorre partire dalle domande, pensare le sceneggiature, fare a volte l’avvocato del diavolo, immedesimarsi, chiedere conferme, produrre quantità di allegati accuratamente verificati. Il Docente, soprattutto all’inizio, si stanca, anzi si offende quasi: gli stai minando la convinzione che il suo sapere è la fonte dell’attenzione. Dopo, quando afferra la logica, diventa un motore formidabile di conoscenza perché è messo nel contesto perfetto per provare a svuotare i “vasi”. 
Ovviamente ne deve sapere molto, ma in genere questo elemento non difetta, pensate ad un professore universitario che ha fatto per 30 anni assistenza, docenza e ricerca. È una biblioteca vivente di esperienze, di nozioni, di dati. Occorre solo far si che questo patrimonio non diventi schiacciante e noioso, ma guida per chi ne sa di meno.
Con il nostro metodo si rischia di più che costruire un bel Power Point pieno zeppo di informazioni, ma noi ambiamo a diventare “provocatori”, cioè induttori di domande, di confronto critico: cioè vogliamo “rischiare” di mettere in pratica l’E-learning 2.0, ovvero l’apprendimento collaborativo.
L’apprendimento collaborativo è la vera frontiera dell’E-learning. Immaginate la potenza informativa di internet. Un docente decide di dirvi che il BMI (body mass index) è il punto di partenza per la dieta. Dopo qualche mese o anno, esce un articolo su un nuovo indicatore più performante il BSI (Body Shape Index): in un contesto di aula l’informazione resterebbe confinata a colui che l’ha recepita, ma in un contesto E.learning 2.0 la stessa informazione può arrivare velocemente a tutti i fruitori. Di più: i fruitori a loro volta possono commentarla, criticarla, provare ad utilizzare il nuovo metodo e dare dei feedback, creando valore negli indicatori.
Questa cosa è davvero successa. Un’infermiera della regione Marche aveva un problema di liste di attesa per le protesi d’anca. Il processo “funzionava”, più o meno, quindi nessuno interveniva. Lei ha fatto un passo in più. Ha trovato che in Nuova Zelanda, un percorso analogo a quello della sua regione creava problemi di riabilitazione perché i pazienti operati restavano per molti giorni senza supporto fisioterapico, peggiorando gli esiti degli interventi. I Neozelandesi avevano quindi modificato il processo, programmando gli interventi non sulla base della disponibilità delle sale operatorie, ma sulla disponibilità dei posti di riabilitazione. Risultato: miglioramento degli indicatori di esito e di compliance dei pazienti. L’intraprendente infermiera ha fatto proprio il progetto, lo ha portato avanti e ha realizzato lo stesso miglioramento ottenuto in Nuova Zelanda. Un esempio di apprendimento collaborativo.
Nel nostro piccolo abbiamo successi analoghi e perciò continuiamo a costruire i nostri corsi E-learning con un obiettivo di minima: riuscire almeno in un punto a dare quelle informazioni importanti per supportare nel migliore dei modi il Vostro paziente, contando sulla partecipazione dei nostri clienti per arricchirli e migliorarli continuamente.